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Covid 19: acceleratore del tempo

Covid 19: acceleratore del tempo

Pubblicato Mar 29 Dicembre 2020 - 20:08 da Eleonora Alboresi Tag: Borsa

L’emergenza Coronavirus ha amplificato tante cose: la mancanza di rapporti umani, una quotidianità che non c’è più, le differenze tra chi sta bene e chi sta male e per ultimo, ma assolutamente non meno importante, anche il divario tecnologico e digitale che divide il mondo.

Capisco che dal di fuori può sembrare fuori luogo questo mio articolo ma vorrei concentrarmi su un aspetto che qui all'Indipendente abbiamo ben presente da diverso tempo: la pandemia non avrà solo effetti temporanei, ma soprattutto effetti duraturi. Non voglio citare l'esempio del nostro direttore Emilio Tomasini che racconta di come non tornerà più a fare la spesa in persona all'Esselunga perchè con 6.90 euro gliela portano direttamente al piano visto che penso che tutti i lettori la conoscano a memoria.

Per parlare di questo argomento, che quest’anno in particolare ha palesato la sua importanza e la necessità di stare al passo con i tempi, vogliamo andare più su un profilo aulico e ci ispiriamo apertamente ad un articolo pubblicato dal Wall Street Journal alcuni giorni fa a firma di Greg Ip.

La pandemia che ci ha invaso ha costretto tutti a fare i conti con una tecnologia che corre sempre più veloce e mai come ora il detto “chi si ferma è perduto” assume una valenza particolare. Tutti si sono dovuti adattare in pochi mesi a smart working, riunioni su piattaforme come Skype e Zoom e necessità di collegarsi all’esterno attraverso il web. Ciò che poteva sembrare una conseguenza temporanea dell’emergenza sta diventando sempre più reale e permanente.

Come detto dal vice presidente di Shopify Inc Loren Padelford, intervistata dal Wall Street Journal nell’articolo di cui parliamo oggi, “Il Covid si è presentato come una macchina del tempo che ha portato il 2020 direttamente nel 2030”.

In Italia, secondo i dati dell’Osservatorio B2c del Politecnico di Milano, l’ecommerce nel 2020 raggiungerà i 22,7 miliardi, segnando un +26% rispetto al 2019. In un periodo del genere, è ovvio che gli investitori hanno premiato le “compagnie digitali” come Amazon, Zoom Video Communication e Microsoft Corp. Business . Meno tempo si passa fuori, insomma, più si necessitano software e digitalizzazione, elementi che si configurano come i prossimi capitoli di una grande rivoluzione tecnologica.

 

Ma siamo sicuri che la pandemia sia l’unico attore che ha reso possibile questo cambiamento? Sempre secondo l’articolo di Greg Ip, la risposta è no. A contribuire, infatti, sarebbero stati anche l’imperativo climatico di sostituire energia rinnovabile al combustibile fossile. La pandemia, quindi, avrebbe accelerato il cambiamento facendo crollare prezzi e investimenti dei combustibili fossili.

L’elemento principale resta però l’informazione tecnologica. Joel Mokyr, storico di economia alla Northwestern University, come leggiamo ancora sul WSJ, ha parlato di “great fake” (grande inganno) dicendo che tutta questa digitalizzazione porta all’aumento di rappresentazioni di un certo tipo di realtà virtuale. Per spiegare il suo concetto, Mokyr ha portato l’esempio della musica. “Nella metà del 1800 – ha dichiarato – l’unico modo per ascoltare la musica era essere fisicamente presenti ad un concerto o suonare per conto nostro. Poi sono compare registrazioni, Cd e ora lo streaming, innovazioni che hanno contribuito a rendere la musica poco più di niente”.

Per lo meno, ha continuato Mokyr, prima produttori e distributori avevano un guadagno tangibile attraverso la vendita di cassette, vinili e cd, ma oggi non è più così e il guadagno è diventato intangibile.

Non a caso questo si riflette anche nel cinema, con la Warner Bros’ che ha deciso di fare uscire tutti i suoi film del 2020 sulla piattaforma di servizio streaming della HBO Max. Nel lavoro, poi, secondo Mokyr piattaforme di incontro come Zoom sono il più grande inganno, capaci di farci credere di poter ricreare virtualmente rapporti tra dirigenti, impiegati e rivenditori.

Se storicamente un ostacolo al potere del web poteva essere rappresentato dai vantaggi di acquistare un prodotto di persona, toccandolo con mano, adesso anche questo è cambiato e l’emergenza Covid-19 ha premuto l’acceleratore.

In questo processo possiamo dire che la migliore amica del nuovo commercio virtuale è stata una sempre maggiore possibilità di effettuare pagamenti a distanza.

Prima della pandemia molti imprenditori erano stati restii a vendere online i loro prodotti anche a causa della credenza che il web non fosse alla portata di tutti, ma presto hanno capito che si sbagliavano.

L’aumento del numero di consumatori, venditori e marchi online ha creato quello che l’analista Colin Sebastian ha definito per l’articolo del WSJ “network effect”. Detto in parole povere, più utenti ci sono e più è conveniente partecipare.

 

Quest’anno, gli imprenditori hanno speso più per ciò che riguarda logistica e tecnologia che per qualsiasi altra cosa.

Ma Mokyr avverte che questa dematerializzazione non può continuare infinitamente. “Possiamo mimare la realtà – ha commentato – ma non siamo creature digitali e abbiamo bisogno di esperienze fisiche”.

 

Dall’inizio della pandemia, in Italia, sono state circa 8 milioni le persone che hanno lavorato da remoto. Ad adottare la soluzione dello smart working, secondo l’Istat, è stato il 90% delle aziende di grandi dimensioni e il 73,1% di quelle medie. In soli tre mesi si è passati dall’1,2% all’8,8% di lavoro agile e anche dopo la fine del lockdown la quota dei lavoratori impiegati a distanza è restata significativa, stazionando sul 5,3%. Quindi le varie Apple, Zoom, Netflix, Google, Facebook che finora abbiamo attenzionato non finiscono qui il loro viaggio, che prevediamo sia ancora lungo, lungo almeno e profondo come il cambiamento che la pandemia ha portato. Se conosciamo la premessa facilmente possiamo arrivare alla conclusione ...


 



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