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L’UNIONE EUROPEA COME L’UNIONE SOVIETICA DI BREŽNEV?

L’UNIONE EUROPEA COME L’UNIONE SOVIETICA DI BREŽNEV?

Pubblicato Mer 26 Marzo 2014 - 15:26 da La redazione Tag: Borsa

Nei precedenti articoli, dedicati alla crisi fra Ucraina e Russia, ho più volte sottolineato le contraddizioni dell’Occidente (USA e UE), che solo pochi anni fa ha strenuamente sostenuto il principio dell’autodeterminazione dei popoli per legittimare la secessione del Kosovo dalla Serbia, ed ora non vuole riconoscere lo stesso principio alla maggioranza russa che vive in Crimea. Ma questa crisi ha messo in risalto – ancora una volta - anche la fragilità dell’Unione Europea.

Questa fragilità, tuttavia, non consiste tanto nel non avere una politica estera comune – come all’Unione è sempre stato rimproverato dagli europeisti a tutto tondo – quanto nel fatto che, paradossalmente, è proprio quando l’Unione Europea vuole fare una politica comune che essa sbaglia bersaglio e si accartoccia sulla propria inconsistenza. Che cos’altro è, infatti, l’illusione di poter attrarre a sé l’Ucraina staccandola dalla Russia, se non appunto uno scatto velleitario destinato al fallimento? Come possono, degli statisti che siano dotati di un minimo senso della realtà, pensare seriamente che l’Unione, con tutti i suoi problemi, possa in qualche modo associare a sé un gigante malato come l’Ucraina, afflitta da un debito enorme, da un altissimo deficit e per di più mancante di una classe dirigente affidabile? Lo stesso calcolo economico, nel quale i governanti dell’Unione, da bravi tecnocrati, dovrebbero essere versati, sarebbe dovuto bastare ad escludere una mossa così avventata.

C’è dunque qualcosa di profondamente insano, in questa Unione Europea, che la fa assomigliare pericolosamente, sia pure con tutte le ovvie differenze del caso, alla senescente URSS dei tempi di Brežnev e degli altri gerontocrati suoi successori: negli ultimi anni dell’Unione Sovietica la retorica dell’internazionalismo proletario era soltanto la crosta sotto la quale ribollivano nazionalismi sempre più insofferenti; la cosiddetta “lingua di legno” della nomenklatura era un ridicolo e insufficiente cosmetico alle crepe dell’edificio; ed infine il colosso sovietico, quando era già a pochi anni dall’implosione, si lanciava in avventure imperiali fallimentari come l’invasione dell’Afghanistan.

E l’Unione Europea? Anche qui la retorica ufficiale non vale ormai più ad esorcizzare le insofferenze, i sommovimenti, addirittura il vero e proprio odio di parti sempre crescenti dei popoli europei verso l’eurocrazia; anche qui una specialissima “lingua di legno”, questa volta non intrisa di ideologia comunista ma di termini tecnocratici, si ingegna a creare una realtà immaginaria ed a scomunicare con l’epiteto “populista” tutto quello che contrasta con i dogmi ufficiali; ed infine, quel che è peggio, nell’anno di grazia 2014 questa Unione Europea, già indebolita dalla crisi economica, impoverita da una politica di austerità che si è masochisticamente inflitta, minata da divisioni che il mantenimento sempre più costoso dell’Euro ha approfondito e incancrenito, insomma questa Unione che presenta tutti i sintomi di una possibile implosione, si lancia sventatamente in una politica da grande potenza tentando di ingoiare l’enorme boccone ucraino.

Orbene, quando si guarda alla Storia, si nota spesso che i governanti di paesi e imperi in declino presero proprio quelle decisioni che accelerarono la fine. Quindi non meraviglia poi troppo che i governanti dell’Unione Europea, nel gestire la crisi ucraina, non solo abbiano trascurato quel calcolo dell’utilità economica in cui dovrebbero eccellere, ma, ormai staccati da ogni cognizione di storia, cultura e religione dei popoli d’Europa, abbiano deciso a cuor leggero di scontrarsi frontalmente proprio con il sentimento nazionale russo, una forza temibile e coriacea che si è mantenuta intatta dopo settanta anni di dogma internazionalista e che trae linfa e vigore dalla religosità cristiano-ortodossa.

Diceva Bismarck dell’Italia di Crispi, riferendosi alle ambizioni coloniali del nostro Paese: “L’italia ha un robusto appetito ma pessimi denti”; un giudizio cattivo che si potrebbe aggiornare all’UE di oggi, se non fosse che agli eurocrati ben difficilmente si possono attribuire robuste passioni vitali, forse nemmeno l’appetito, ma soltanto una malsana volontà di potenza senza potenza, e come tale votata ad una ingloriosa sconfitta.

 

Editoriale di Luigi Tirelli



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