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LO SPROFONDAMENTO DEL MERCATO NON E’ IL RUMORE DI UNA BOLLA CHE SCOPPIA

LO SPROFONDAMENTO DEL MERCATO NON E’ IL RUMORE DI UNA BOLLA CHE SCOPPIA

Pubblicato Mer 07 Febbraio 2018 - 14:02 da Emilio Tomasini Tag: Borsa

Anni fa leggevo avidamente marketwatch.com come se fosse la bibbia. Diciamo che come trader sono nato a marketwatch.com e nutella. Poi nel corso del tempo sempre meno, tanto che oggi raramente lo guardo e quando lo guardo è perché non ho niente da fare (cosa che capita di rado ve lo assicuro). Non mi piace marketwatch.com perché non prende una posizione. Quindi come testata non vale niente. A me piace chi prende posizione perché se vedo che ci azzecca mi è utile, di leggere cosa dice il tal e tal altro gestore o l'analista finanziario di turno non mi interessa niente e peggio il giornalista finanziario che mena il can per l'aia. Di tutta questa informazione economica solo una cosa salvo: Mark Hulbert, columnist di marketwatch.com. Lui è forse l'unico tra tutti gli autori di marketwatch.com a prenere sempre e comunque una posizione e se lo fa lo fa basandosi sui numeri, perché solo quelli contano. Nel momento più buio del ribasso Mark Hulbert ha pubblicato un editoriale di cui qui sotto riporto alcuni punti salienti, che condivido appieno:

 

Può essere qualsiasi ragione che sta deprimendo il mercato verso il ribasso, ma non lo scoppio di una bolla. E questo - scrive Mark Hulbert su marketwatch.com - per la semplice ragione che le recenti condizioni del mercato azionario Usa,  per quanto sopravvalutate possano essere, non vanno nemmeno vicino al punto in cui si crea una bolla. E lo stesso scivolone dei prezzi (attenuato dal potente recupero di martedì) del Dow Jones non si può paragonare al massacro dello scoppio di una bolla. Queste sono le conclusioni che derivano dalla ricerca accademica sui segnali precursori delle bolle di mercato. Considerate per prima cosa uno studio che è stato pubblicato nel 2006 da Malcolm Baker, un professore alla Harvard Business School e da Jeffrey Wurgler, un professore di finanza alla New York University, i quali - scrive Mark Hulbert su marketwatch.com - selezionano un certo numero di indicatori oggettivi di esuberanza irrazionale che, a livello di backtesting, sono altamente correlati con le bolle del 1929 o con lo scoppio della bolla di Internet nel 2000.

Ecco l’elenco di questi indicatori:

 

NUMERO DEGLI IPO: una misura della esuberanza irrazionale sono un elevato numero di società che si quotano e il mercato attuale invece è molto freddo. Nel 1999, ad esempio, l’ultimo anno prima dello scoppio della bolla di internet, ci sono state a New York 477 IPO, secondo Jay Ritter, un professore di finanza alla University of Florida. Nel 2017 ce ne sono state 107.

 

RENDIMENTI DEL PRIMO GIORNO DI QUOTAZIONE DEGLI IPO: un indicatore correlato al precedente è l’incremento relativo della prima giornata di quotazione degli IPO nel loro primo giorno di trading. Nel 1999, secondo Ritter, la media era il 57%. Nel 2017, all’opposto, la media era il 15%.

 

PREMIO PER IL DIVIDENDO: questa è la valutazione differenziale tra le nuove società più speculative (per quanto spesso indicato non come dividendo) e le società invece che già avviate producono stabilmente un dividendo. Quando l’esuberanza è elevata, Baker e Wurler hanno scoperto che le società che non pagano dividendi hanno rmultipli di bilancio più elevati di quelli che li pagano. Al top della bolla Internet nei primi anni del 2000, per esempio, quelle che non pagavano dividendi avevano in media un ratio price / book superiore del 43% di quelle che lo pagavano. Oggi invece sono le società che pagano i dividendi ad avere le valutazioni in termini di multiplo più elevate, un 7% di più addirittura, secondo FactSet, nel paniere dell’SP1500.

 

COMPONENTE AZIONARIA NEL TOTALE DELLE EMISSIONI: un altro indicatore dell’esuberanza irrazionale che Baker e Wurgler hanno focalizzato è l’estensione delle emissioni azionarie alla quali le aziende si stanno indirizzando piuttosto che alle emissioni obbligazionarie. L’esuberanza raggiunge il picco quando le aziende si rivolgono in maniera sproporzionata alle al mercato azionario per raccogliere capitali. Wurgler, in una email, ha scritto che la proporzione dei capitali indirizzata al mercato azionario per il 2017 era solo il 7.3% e questo storicamente è abbastanza basso.

 

In un altro studio citato da Mark Hulbert (Robin Greenwood, Andrei Shleifer, Yang You) i ricercatori hanno definito una bolla come una rincorsa al rialzo dei prezzi su un periodo di 2 anni seguito da un crollo del 40%. Quando la rincorsa è del 100% o più i ricercatori hanno trovato che la probabilità di un crash raggiunge il 50%. Quando la rincorsa è almeno il 150% la probabilità diventa l’80%. Per rincorse maggiori dell’80% il crash diventa quasi certo. La recente rincorsa al rialzo del mercato azionario USA non è niente rispetto a queste statistiche. Infatti il massimo storico assoluto del 29 gennaio 2018 è sempre un +48% rispetto il trailing dei due anni precedenti. Questo significa che non ci sono incrementi di probabilità che vi sia un crash oggi come oggi.

 

 

 

 

 

 

 

 



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