Facciamo il punto della situazione del portafoglio, e riprendiamo alcune considerazioni e alcuni ragionamenti, già fatti in tempi non sospetti, e che iniziano a trovare alcuni pratici riscontri in questa fase di transizione che stiamo attraversando. E si badi bene, la transizione non riguarda solo l’Italia, ma riguarda l’Europa tutta, e di qui in poi bisognerà stare molto molto attenti a come si investono i propri capitali. Il tempo dei “giochi” è finito. Ma andiamo per gradi.
Per iniziare, un aggiornamento in real time del nostro portafoglio, ai prezzi correnti.
Come prevedibile, l’esito del voto alle politiche ha creato una bella confusione (per non dire un vero e proprio caos…), e i mercati non si sono certo fatti pregare nel “punire” gli asset targati Italia. Così come era prevedibile che, dopo qualche giorno di “danza sui carboni ardenti”, la situazione tornasse via via a normalizzarsi. Lo spread ITA/GER, dopo una fuga in area 350 bps, ha ripreso a calare e gravita ora intorno ai 300 bps che largo circa è il valore medio degli ultimi 6 mesi. E anche i bond bancari sono ritornati pressoché ai livelli di prezzo pre-voto.
Tutto bene quindi?
Niente affatto!!!
Se oggi il nostro spread è sceso a 300 bps è solo grazie alle parole di Draghi di ieri, il quale non solo ha escluso un “effetto contagio”, ma ha soprattutto rassicurato i mercati sul fatto che l’Italia manterrà la rotta, impostata da Monti. E’ almeno la seconda volta, in poco più di sei mesi, che l’autorevolezza di Draghi riporta a livelli sostenibili le pressioni sul nostro debito pubblico e sulla moneta unica.
La domanda è: per quanto tempo ancora, questa autorevolezza potrà continuare a contenere una situazione che si fa, giorno per giorno, sempre più esplosiva? E’ vero che l’esito delle nostre politiche potrebbe apparire produttivo di conseguenze sono all’interno dei nostri patrii confini, ma non credo sia così. Si è definitivamente aperta la spaccatura tra l’Europa “core” (cioè la Germania) e l’Europa “periferica”, Francia compresa. Mentre le popolazioni dei Paesi periferici stanno dimostrando tutta la loro insofferenza, e la loro rabbia, verso quest’Europa dell’austerità, miope, e a tutti i costi, la Germania per mano della Merkel è in cerca di alleati nell’Est, per rinvigorire e rilanciare proprio le politiche di austerità. In Germania è tornato prepotentemente il desiderio del c.d. “piccolo Euro” (cioè, di fatto, un Euro di seria A) in concomitanza con la nascita del partito “Alternativa per la Germania”, che spinge per un ritorno alle monete nazionali, o comunque ad un’unione monetaria ridotta e meno costosa. Già, costosa, ma per chi?
L’Euro (che non mi stancherò mai di dire che è il vecchio marco tedesco sotto mentite spoglie), ha permesso alla Germania di riequilibrare la propria bilancia commerciale, a tutto discapito di Paesi come Italia, Francia, Spagna, Portogallo… Mentre la Germania si ingrassava, tutto il resto dell’Europa mediterranea dimagriva.
I nodi stanno venendo al pettine, com’è giusto che sia.
E, molto probabilmente, i margini di intervento di Draghi e della BCE si faranno sempre più esigui, sino ad azzerarsi. E quando le parole del Governatore non basteranno più, è facile comprendere quale strada sarà necessario percorrere. Ovviamente non ci è dato sapere quando questo accadrà, ma inutile illudersi: la direzione è ormai tracciata; un solco già profondo che l’esito delle nostre elezioni non ha fatto altro che porre in netta evidenza.
Rebus sic stantibus, va da sé che le scelte di investimento dovranno essere guidate da una maggior diversificazione, e non solo più a livello di emittenti, ma anche e soprattutto a livello geografico e valutario, allocando i capitali in attività finanziare fuori dalla zona Euro.
Ed è con questa logica che andremo ad allocare il 50% del portafoglio attualmente liquido. Dovremmo ovviamente sopportare rischi aggiuntivi, legati soprattutto alla variabile valutaria, ma d’altra parte in situazioni come quella che si sta delineando, la cosa più saggia che si possa fare e cercare di limitare i danni. Se crack dovrà essere, ci faremo tutti male: anche la Germania, che dall’alto della sua protervia dimentica che Francia e Italia sono la seconda e la terza forza economica dell’Europa. Noi, nel nostro piccolo, cercheremo di farci fare meno male possibile…
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