Uno dei temi ricorrenti al Festival Internazionale dell’Economia appena conclusosi a Torino è stato quello dei dazi imposti da Donald Trump.
Nella teoria economica, i dazi doganali si applicano per mantenere i prezzi interni di un prodotto al di sopra dei livelli mondiali e quindi consentire all’industria locale di ottenere un margine di profitto superiore rispetto a quello che otterrebbe in un mercato libero.
Senza dazi, un Paese tende a importare un prodotto quando il suo prezzo mondiale è inferiore al prezzo interno che risulterebbe prevalente in assenza di importazioni. Tuttavia, questa forma di protezionismo può avere un costo elevato per i contribuenti e generare una perdita per i consumatori maggiore rispetto al guadagno per i produttori interni.
La figura illustra questo principio.
(Pindyck & Rubinfeld, 2013)
· O e D rappresentano le curve di offerta e di domanda interna.
· In un mercato libero, il prezzo interno sarà equivalente al prezzo mondiale Pm e le importazioni saranno pari alla quantità di domanda non soddisfatta dalla produzione interna (Qd – Qo).
· Ora supponiamo che venga imposto un dazio sulle importazioni pari a T euro per unità. Il prezzo interno salirebbe a P* (il prezzo mondiale più il dazio); la produzione interna aumenterebbe (da Qo a Q’o) e il consumo interno diminuirebbe (da Qd a Q’d).
· I consumatori che continuano ad acquistare il bene (nella quantità Q’d) pagheranno di più, subendo una perdita pari alla somma del trapezio A, del triangolo B e del rettangolo D. I consumatori che rinunciano all’acquisto a causa del prezzo più alto determinano una perdita aggiuntiva, rappresentata dal triangolo C. La perdita totale per i consumatori è quindi A + B + C + D.
· Il trapezio A rappresenta il guadagno per i produttori interni, che vendono di più (Qo invece di Q’o) e a un prezzo superiore (P* invece di Pm).
· Il governo incassa l’imposta applicata moltiplicata per la quantità di beni importati, che equivale al rettangolo D.
· Il paese nel suo insieme subirà una perdita di benessere pari a B + C.
A e D infatti “escono dalle tasche” dei consumatori interni, ma entrano rispettivamente in quelle dei produttori interni e dello Stato.
B e C invece rappresentano una perdita secca, rispettivamente per la sovrapproduzione interna (subottimale per i consumatori) e per la riduzione dei consumi.
Il nuovo approccio di Trump
Il 2 aprile, Donald Trump ha annunciato l’introduzione di dazi commerciali “reciproci”, ossia variabili in base al livello di barriere commerciali che secondo il presidente americano gli altri paesi impongono agli USA (dazi, burocrazia doganale, normative sanitarie, etc.).
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti, forti della loro posizione dominante, hanno contribuito a costruire un ordine commerciale internazionale basato su regole ben precise a favore del libero scambio. Questo sistema, promosso da istituzioni come il GATT prima e l’OMC poi, si fondava su due principi:
Trump rompe questi principi e li rovescia. Secondo la sua visione, il commercio equo non si basa sull’apertura uguale per tutti, ma sulla reciprocità: se un Paese impone barriere commerciali agli Stati Uniti, allora gli Stati Uniti devono fare lo stesso.
L’obiettivo dichiarato è ridurre l’elevato deficit commerciale statunitense ($ 1.134 mld nel 2024), ovvero il differenziale negativo tra il valore totale delle esportazioni e il valore totale delle importazioni, che Trump attribuisce alle barriere imposte dagli altri Paesi.
(Wolf, 2025)
Ma i dazi funzionano?
Senza entrare nel merito della controversa teoria secondo cui il deficit commerciale americano deriverebbe dalle politiche protezionistiche altrui, ci sono casi in cui l’uso mirato dei dazi può avere una logica economica — ad esempio per proteggere settori strategici o favorire l’occupazione di manodopera meno qualificata. Tuttavia, è opinione diffusa tra gli economisti che dazi generalizzati siano inefficaci e dannosi.
Nel caso degli Stati Uniti, molti settori non dispongono più della capacità produttiva per sostituire le importazioni. Introdurre dazi su prodotti provenienti da Paesi come Cina o Bangladesh non farà tornare l’assemblaggio degli iPhone o la produzione di abbigliamento sul suolo americano. Lo stesso vale per molti prodotti alimentari italiani, che non hanno equivalenti nazionali.
In mercati dove la domanda è poco elastica, i produttori riescono a trasferire il costo dei dazi direttamente ai consumatori. Gli studi sull’esperienza della prima amministrazione Trump mostrano che i dazi si sono riflessi quasi interamente sui prezzi finali, con poche eccezioni (con delle eccezioni, per esempio nell’acciaio). Il risultato è stato un aumento dei costi per le imprese e dei prezzi al consumo.
Un effetto regressivo
Mettendo insieme tutti questi aspetti, almeno nel breve periodo, i dazi di Trump produrranno effetti simili a una tassa sui consumi. I rincari colpiranno in misura maggiore le fasce meno abbienti della popolazione, che destinano una quota più alta del reddito ai beni di consumo.
I dazi avranno un effetto regressivo sull’economia americana, aumentando le diseguaglianze.
- Pindyck, R. S., & Rubinfeld, D. L. (2013). Microeconomia (ottava ed.). Milano-Torino: Pearson Italia.
- The Budget Lab at Yale. (2025, Maggio 23). State of U.S. Tariffs: May 23, 2025. Link
- The Budget Lab at Yale. (2025, Maggio 29). State of U.S. Tariffs: May 29, 2025. Link
- Wolf, M. (2025, Maggio 13). The challenge of using excess global savings. Financial Times. Link
Articolo di Ilaria Ferrari, che è iscritta all’Ordine dei Giornalisti e non detiene gli strumenti finanziari oggetto delle sue analisi.
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