Nell’ultimo articolo abbiamo detto che la strategia di investimento di Benjamin Graham si fondava sull’acquisto di “imprese ipervendute”, ovvero vendute a prezzi inferiori al loro valore intrinseco di lungo periodo (https://www.emiliotomasini.it/linvestitore-intelligente-secondo-benjamin-graham/).
Oggi proseguiamo il viaggio e andiamo a scoprire i suggerimenti del suo più grande allievo: Warren Buffett.
Buffett conosce Graham negli anni di studio alla Columbia University, dove quest’ultimo insegnava. Dopo la laurea Buffett lavora a New York per la Graham-Newman Corp., ma quando il suo maestro va in pensione lascia anche lui e dopo qualche anno si mette in proprio, fondando prima la Buffett Partnership e dando vita poi alla Berkshire Hathaway.
Nella sua società, però, Buffett non applica pedissequamente gli insegnamenti del suo maestro. Si è reso conto, infatti, che non tutte le imprese selezionate da Graham si sono poi rivalutate positivamente, anzi: alcune hanno fatto addirittura bancarotta.
Analizzando i rendiconti finanziari delle imprese “vincenti” trova la caratteristica comune che stava cercando e che sarà il faro dello nelle sue scelte di investimento da allora fino ad oggi. Le società “vincenti” sono accomunate da un vantaggio competitivo che dà segni di essere durevole nel tempo, alimentando di anno in anno il valore intrinseco dell’azienda. La quotazione a sconto delle azioni costituisce solamente un ulteriore driver di rendimento.
È qui che nasce il primo dei dieci comandamenti di Warren Buffett: non perdere denaro. Già, perché acquistando società con redditi stabili la possibilità di perdere denaro si riduce al minimo.
Scendendo maggiormente nel dettaglio, Buffett predilige le aziende*:
1) con un elevato grado di prevedibilità del business, ovvero che mostrano una crescita stabile dei propri ricavi e della propria marginalità operativa →Revenue Growth Rate e EBITDA Growth Rate;
2) che hanno vantaggi competitivi tali da mantenere o addirittura aumentare la marginalità durante la crescita →Revenue Growth Rate e EBITDA Growth Rate;
3) che contraggono pochi debiti durante la crescita del business → Debt-to-Revenue Growth Rate;
4) equamente valutate o sottovalutate →PEG Ratio, ovvero il rapporto P/E (escludendo dal denominatore il reddito non operativo) diviso per il tasso di crescita dell'EBITDA a 5 anni; questo multiplo è particolarmente utile quando si confrontano aziende con tassi di crescita diversi, in quest’ultimo caso infatti analizzare il P/E “semplice” può condurre a risultati fuorvianti in termini di sopra/sottovalutazione.
* Per ogni caratteristica desiderata riporto alcuni possibili indicatori di bilancio da considerare.
Applicando questi quattro criteri a Piazza Affari, i titoli oggi selezionati sarebbero Interpump e Amgen.
Fonte: GuruFocus.com
INTERPUMP
Di Interpump avevo parlato approfonditamente a metà ottobre (https://www.emiliotomasini.it/interpump-questa-volta-prendera-il-via/), dopo che il titolo era entrato nel Portafoglio Breakout a seguito della rottura dei massimi storici.
Come indicatore sintetico della qualità dell’azienda riporto l’andamento del ROIC spread (ROIC – WACC = rendimento sul capitale investito - costo medio ponderato del capitale), la cui positività segnala creazione di valore per i portatori di capitale.
Del resto, anche gli indicatori di bilancio del Buffett screener parlano chiaro.
Se il fatturato negli ultimi dieci anni è cresciuto a un tasso del 12.30%, l’EBITDA (che rappresenta la marginalità operativa lorda) ha corso ancora più velocemente (16.10%).
Nonostante la crescita, l’incidenza del debito sui ricavi è diminuita (-5.10%).
Il valore critico per il PEG è 1 (caso limite in cui il «prezzo» della capacità di produrre un’unità di utile, ovvero il P/E, coincide con il tasso di crescita dell’azienda), individuato da Peter Lynch come indicativo di una equa valutazione. Secondo questa metrica di valutazione, quindi, in questo momento Interpump appare leggermente sopravvalutata dal mercato. Il modello DCF dà un giudizio più severo: il fair value si attesterebbe a 28.89 euro, mentre il titolo viaggia sui 40 euro.
In effetti il titolo viene da un importante rialzo (+53% negli ultimi 6 mesi) e per il momento sembra puntare ancora verso l’alto, ma in linea generale secondo la logica del breakout non è raccomandato salire su un treno già in corsa.
AMGEN
Amgen è quotata sul segmento Global Equity Market (GEM) di Piazza Affari, dedicato alla negoziazione di azioni di emittenti non italiani già scambiati in mercati regolamentati negli Stati membri dell'UE o in altri paesi membri dell'OCSE (nel caso specifico di Amgen il suo mercato principale è il Nasdaq).
La società è attiva nel settore delle biotecnologie e si occupa della ricerca, sviluppo, produzione e commercializzazione di terapie umane basate su biologia molecolare avanzata coprendo diverse aree terapeutiche: cardiovascolare, malattie infiammatorie e osteoarticolari, nefrologia, oncologia ed ematologia.
Anche in questo caso, come indicatore sintetico della qualità dell’azienda prendiamo in considerazione il ROIC spread. La redditività è da urlo: il rendimento sul capitale investito negli ultimi dieci anni (ad eccezione del 2017) ha superato stabilmente il costo medio ponderato del capitale di almeno il 10%.
Passando agli indicatori del Buffett screener, anche per Amgen la marginalità ha tenuto alla grande il passo dei ricavi negli ultimi dieci anni, facendo anche appena meglio (crescita 13.80% contro 10.40%).
Il debito è leggermente cresciuto in rapporto ai ricavi, ma per un’azienda in forte crescita questa è la normalità.
Il PEG indica una leggera sopravvalutazione da parte del mercato, mentre il modello DCF vede un potenziale di upside dell’11% circa.
Insomma, in questo caso sembrano esserci tutti gli elementi per un investimento “à la Warren Buffett”.
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